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Dopo la lettura di due libri intensi e profondi, drammatici, come il Colibri e Cambiare l’acqua ai fiori, l’anno lettura di A proposito di niente mi restituisce alla godibilità della vita. Una chiacchierata con Woody Allen! Lo consiglio soprattutto ai ragazzi che vogliono leggere un romanzo di formazione.
Di vivere nel cuore e nella mente del pubblico non mi importa niente, preferisco vivere a casa mia.
Odiavo la scuola ebraica quanto la scuola pubblica, e vi spiego perché. Per cominciare, ho sempre pensato che la religione fosse un grande imbroglio. Non ho mai creduto nell'esistenza di un dio, né che questi avesse una predizione per gli ebrei, se mai fosse esistito. Mi piaceva la carne di maiale. Odiavo la barba. L'ebraico era troppo gutturale per i miei gusti. E poi si scriveva da destra verso sinistra. Perché mai? Già avevo i miei guai con l'inglese, che si scriveva nell'altro senso. E perché dovevo digiunare per i miei peccati?
Non credevo in Dio. E perché in sinagoga le donne dovevano stare al piano di sopra? Erano più carine e intelligenti degli zeloti barbuti che giù da basso si avvolgevano scialli di preghiera, ciondolavano la testa come pupazzi adorando un potere immaginario che, se esisteva, ripagava tutti i loro salamelecchi con il diabete e il reflusso gastrico.
L'intera scuola era concepita in modo tale che fosse impossibile qualunque forma di apprendimento. Dovevi arrivare puntuale e metterti in fila in cortile, clima permettendo. E mentre eri in fila, guai a parlare. Poi salivi in classe, dove eri obbligato a stare seduto "con ambedue le piante dei piedi sul pavimento e gli occhi voltati in avanti". Vietato parlare, ridere, passarsi i bigliettini e qualunque altra cosa potesse rendere più lieve il fardello dell'esistenza. Si imparava a memoria, solo che non si apprendeva niente. ☀️ [Dovessi descrivere, in una mia biografia, i miei tre anni di collegio salesiano, userei le medesime parole di Woody Allen - con l'aggiunta del "era vietato pure pensare". Furono gli scritti di Giobbe Covatta a fare in modo che il mio cervello non si svuotasse a suon di ridicola disciplina e preghiere imposte in quella galera. In questo libro - profondo e nel contempo divertente - rivedo anche me stessa, in più tempi: soprattutto l'ironia con cui riuscivo, e riesco ancora, a ridare una dimensione umana ad ogni vicenda; anche la più triste e mortificante.]